Tasi e Tira : le bufere vissute

Tasi e TiraSito dei Veci Artiglieri da Montagna della Caserma Piave di Dobbiaco appartenenti al Gruppo Asiago della Brigata Tridentina. Qui troverai le foto inviate dai veci e notizie sui nostri Ufficiali , Sottufficiali e Graduati.
Inoltre le informazioni sui prossimi raduni

 

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i Raduni Annuali

Foto dell'ultimo Raduno Annuale

Renato Buselli guida la sfilata del Tasi e Tira

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I Raduni dove ha partecipato il Gruppo Asiago "Tasi e Tira"

Ricerca dei Veci

Questo spazio é a disposizione di tutti per poter ricercare vecchi compagni di naja. Inviate la vs. richiesta a Luigi , con il nome o la foto di chi ricercate.

Email : Scrivi a Gruppo Asiago


Artigliere con il bambino del M.llo Paci alla Caserma Piave

Ricerca artigliere

chi era l'artigliere che teneva in braccio il bambino del M.llo Paci. La foto é scattata nel cortile della Caserma Piave nell'anno 1960/61


Luigi Favilla e Gen. Pastorello

Si sono ritrovati

dopo 53 anni a L'Aquila nel 2015 Luigi Favilla e il Gen. Pastorello. Erano alla 28°Batteria nel 1961

 

 


Le nostre bufere al "Tasi e Tira"

Racconti di bufere ed episodi individuali vissuti nelle varie Batterie e Reparti del Gruppo Asiago

I fatti narrati in queste pagine sono ricordi di avventure capitate individualmente durante la naja.
I vostri racconti potranno essere inviati tramite posta elettronica all'indirizzo del Webmaster che valuterà la possibilità di inserirli nelle pagine delle "bufere personali".
Se si possiedono anche delle foto , esse saranno le benvenute perchè illustreranno meglio i vostri racconti. - Inviate le vs. Email a :  [email protected]


Nappina della 28° batteria del Gruppo Asiago Una delle mie bufere alla 28° btr. - Servizio antiterrorismo a Sesto - anno 1962

Come è capitato a molti dei più anziani del Gruppo Asiago , mi sono trovato spesso in servizio di guardia fuori dalla caserma (anti B.A.S). Il servizio mi piaceva perchè te ne stavi lontano dagli Ufficiali , dai nonni , dai muli e dalle marce , e poi era ben pagato. Sono stato mandato a Vandoies , a Perca , a Versiaco e poi in estate a Sesto di Pusteria : al piccolo lago artificiale con la diga che si vede sulla sinistra percorrendo la strada che da San Candido va verso Sesto. Non mi sono mai trovato coinvolto in episodi di una certa rilevanza , gli unici colpi sparati erano i nostri , per divertimento o per provare la carabina Winchester. Solo durante il mio lungo servizio alla diga di Sesto capitò una situazione che ci obbligò a far rientrare in Caserma un Artigliere perchè ci creava una situazione di pericolosità.
Tutto iniziò quando al momento della paga della prima decade , l'Ufficiale addetto ci comunicò l'arrivo di un nuovo artigliere di rimpiazzo.   Disse che la giovane recluta era stata raccomandata , a fare questo servizio ben remunerato , dal Parroco del suo paese che aveva scritto una lettera ai nostri comandanti , perorando che la famiglia era in stato di bisogno per il mancato sostegno del figlio che era sotto la naja.  E così questo ragazzo avrebbe potuto inviare dei soldi alla sua famiglia (prendevamo Lire 10.000 a decade). L'Ufficiale ci raccomandò di aiutarlo con pazienza a svolgere il servizio perchè oltre che inesperto era anche un po' imbranato.
Noi ce la mettemmo tutta , gli spostavamo i turni di Guardia come lui voleva , si faceva dei turni in
più al suo posto , ma c'erano dei problemi che era impossibile risolvere. La recluta era volenterosa e disciplinata però.....aveva una paura tremenda a rimanere da solo nella postazione di guardia.
Infatti a farlo montare di guardia ci riuscivamo , lo si accompagnava sempre a dare il cambio , e poi non lo lasciavamo sino a che non si sentiva tranquillo e abbastanza sicuro. Ma il grosso problema irrisolvibile era come rilevarlo e dargli il cambio.
Dunque , benche gli facessimo memorizzare bene la parola d'ordine, aggiungendo anche una seconda parola segreta tra lui e chi gli doveva dare il cambio , poi ancora la prova di fischiare una canzonetta così lui ci doveva fischiare il resto della canzone , tutti quanti i tentativi furono inutili. Infatti , quando si andava a dargli il cambio , lui con il terrore che fossimo degli attentatori , ci gridava l'altolà , ma non tutte le volte , poi minacciava di sparare. (da notare che noi eravamo in totale esposizione perchè dovevamo percorrere allo scoperto tutto il pontile della diga). Così , alcune volte lo abbiamo dovuto lasciare sino al sorgere del sole , perchè durante la notte era impossibile dargli il cambio, oltretutto lui preferiva non smontare , perchè aveva paura che qualcuno gli sparasse : non se la sentiva di fare di notte il percorso sul pontile per rientrare alla casa dove eravamo alloggiati.
Ricordo che tutti quanti abbiamo cercato e tentato di tutto per non farlo rientrare , però la situazione era insostenibile anche perchè,sulle rive del laghetto,venivavo tutti i giorni decine di ragazze tedesche orfane di guerra , che erano in vacanza nel grande Gasthof vicino al lago e ...con quel viavai (anche di notte) di ragazze e di giovani artiglieri , c'era veramente il pericolo che dei proiettili vaganti andassero per errore a colpire qualcuno , creando un gran casino nazionale ed internazionale.
Il giorno che vennero a prelevarlo con il rimpiazzo, noi tutti mortificati decidemmo di fare una colletta, comunque lui ci disse che era felice di rientrare in caserma , perchè non se la sentiva.
Di questo servizio ricordo invece con piacere il nostro "ottimo rancio" a base di eccellenti trote e di finferli (le trote a volontà nel torrente scolmatore e così anche i finferli raccolti nei boschi vicini che io stesso rosolavo in olio in una grande teglia).
Però molto fastidiosa la presenza della moglie del guardiano della diga : era sempre a spiarci e poi a fare rapporti ai dirigenti della Diga e al nostro comando (sul viavai con le ragazze e la pesca di frodo)

Sesto BZ - Laghetto e Diga.


Nappina della 30° Batteria "La mia bufera alla 30° Btr." -  Racconto inviato da Renato Scaglia

Ci trovavamo al Campo e Scuola Tiro Invernale in località Pederù, oltre 10-15 Km passato S. Vigilio di Marebbe, altitudine di 1600 metri circa , temperatura stabile sotto allo zero, di notte anche meno di 12-15°, credo verso la fine di novembre 1974. Come detto, ero Armiere ed avevo allestito la mia tenda secondo tutte le regole ed i criteri imposti del caso, filo spinato intorno, cartelli monitori e altre disposizioni di sicurezza che ora mi sfuggono (la tenda che ospitava le armi era un locale che ora si definirebbe punto “sensibile” e degno della massima attenzione da parte del suo custode, l’Armiere). Una sera, dopo il rancio verso le 21, sentii il bisogno di appartarmi per qualche minuto nelle latrine che erano state allestite ai limitari del campo, e così (come da regolamento) chiesi ad un commilitone , autorizzato, di rimanere lui il tempo necessario a guardia della tenda e delle armi. Sinceramente, nelle latrine io non andavo mai, ma mi inoltravo sempre (all'insaputa di tutti) in profondità all’interno della pineta, e così feci anche quella sera. Era una sera con una bella luna che rischiarava quasi a giorno, interrotta solo a tratti da nuvole che facevano incombere il buio più assoluto, la neve “portava” ma lasciava quel po’ di traccia che mi avrebbe facilitato la via del ritorno. All’improvviso, imprevedibile quanto inaspettata una bufera di neve, non si vedeva ad un metro di distanza, le mie orme cancellate in pochi secondi, il buio quasi totale, il silenzio più assoluto e la solitudine, ma non ebbi paura e rimasi calmo. Cercai “a braccio” di riprendere la direzione del ritorno ma non avevo più un punto di riferimento, vagai per circa un’ora invano, ormai era evidente che avevo smarrito la via del ritorno, chissà dov’ero finito, era meglio stare fermi lì altrimenti avrei peggiorato la mia posizione, ero bagnato ed avevo molto freddo, così continuavo a muovermi e saltare per non farmi cogliere dal gelo. Come era arrivata improvvisa, la bufera cessò di colpo ed erano caduti non meno di 10-15 cm. di neve, di nuovo la luna rischiarò a giorno, almeno si vedevano gli alberi, ma solo alberi ovunque, non mi erano certo d’aiuto. Cercai un altura su cui poter salire per poter guardarmi intorno oltre le cime degli alberi, e fui fortunato vidi uno spuntone di roccia , alto una trentina di metri circa, era quasi verticale ma da un fianco la pendenza era accessibile. Salii sulla sommità, finalmente! vidi in lontananza delle luci raggruppate , era probabilmente il mio accampamento. Però era troppo lontano per avere la speranza che mi sentissero a voce. Memorizzai bene la direzione, scesi di nuovo nella pineta andai da quella parte cercando di proseguire nel modo più rettilineo possibile. Riuscii nel mio intento e arrivai all’accampamento , ma con sorpresa non era del nostro Gruppo Asiago bensì del Gruppo Vicenza accampato a 3 Km dal gruppo Asiago. Erano le 3 di notte, avevo perso la concezione del tempo, oltre che a quella della direzione (non avevo con me orologio), pensavo fosse al massimo mezzanotte! Telefonarono al mio campo, mi vennero a prendere, mi stavano cercando da ore! Prima ancora di potermi cambiare dovetti andare a rapporto dal mio Comandante il quale (non scorderò mai) mi disse queste parole: “Ora finisca il campo invernale, rientrati in caserma si ritenga consegnato con 10 giorni di C.P.R. (Camera Punizione Rigore) ed è stato fortunato che non ha lasciato le armi incustodite altrimenti per lei c’era Peschiera, adesso vada a cambiarsi!”(a Peschiera c’era, e forse c’è ancora, la Prigione Militare). La cosa di quella vicenda che mi fece più soffrire, non fu la disavventura in se, ma alla fine della naja , l’ultima sera, tutta la 30esima batteria era in festa, quella sarebbe stata l’ultima notte passata in caserma per i miei commilitoni, ma non per me, io dovetti fare 10 giorni in più per scontare la C.P.R. Venne suonato il Silenzio Fuori Ordinanza in onore dei congedati, io non mi feci notare ma ne piansi.




Nappina della 30° Batteria

"Battesimo di neve e freddo al Campo Invernale 1981 - C/m Paolo Micheli 1/81 Btr.30"

Dopo una paio di settimane dal mio arrivo alla Caserma Piave di Dobbiaco vengo subito iniziato ai rigori dell’inverno facendo il mio campo invernale: era il 2 marzo 1981. Il campo invernale partiva dalla zona di Ortisei, bella stazione turistica. La prima notte dormiamo in un fienile della zona e io, mancante di esperienza , mi sono messo vicino alle pareti non sapendo che fra le feritoie delle assi la notte entrava un’aria fredda veramente fastidiosa. Il giorno dopo si parte per la prima marcia. Ricordo che prima di partire il comandante della 30ma batteria, capitano Rodella, dichiarò: “Se c’è qualcuno che non se la sente di iniziare le marce ce lo dica subito perché saranno giorni duri”, e così qualcuno si tirò fuori. Vedo che il comandante mi guarda strano, si avvicina e mi dice: “Ma lei, Micheli, è sicuro di farcela?” - “Certamente” risposi io (Al tempo ero molto gracile e pesavo veramente poco : 51 chili). Sinceramente non mi ricordo molto bene il giro che abbiamo fatto, so solo che il primo giorno siamo partiti da Ortisei e siamo arrivati fino alla stazione di una funivia dove all’interno si poteva dormire. C’era molta neve, ma era battuta. Ci hanno chiesto se qualcuno se la sentiva di dormire nelle trune, praticamente delle caverne ricavate nella neve. Era una novità per me, però scelsi di provare e assieme ad altri due commilitoni , di cui purtroppo non ricordo il nome, ci ricavammo una truna da un cumulo di neve. Devo dire che in realtà non era male, la temperatura era fredda ma molto meno che all’esterno , inoltre non c’era il fastidioso girò d’aria che trovavo nei fienili. Mi stavo temprando , mi piaceva il freddo! Il secondo giorno fu il più duro. Il comandante ci disse che dovevamo fare una slittata , che poi ho scoperto che non era andare a divertirsi con una slitta, ma trascinarsi dietro dei barchini di alluminio con attrezzature varie. Al seguito dovevamo avere le racchette. La neve, sempre più alta, non era più battuta, a me davano sempre da portare le batterie da radio nello zaino (altrimenti andavo troppo veloce…). Ero davanti a tutti nella colonna , quindi sprofondavo molto, non avevo messo le racchette, non mi sembravano comode, solo le uose per ripararmi almeno le gambe. Peggio stava comunque chi doveva trainare il barchino di alluminio con dentro la mitragliatrice Browning e armamentario vario molto pesante , o chi si doveva portare a spalle i 13 chili della mitragliatrice MG. Mi ricordo che gli artiglieri dovevano faticare non poco quando il sentiero non era agevole, soprattutto quando si inerpicava confuso fra le piante e con la neve alta, allora il barchino spesso si metteva di traverso , dovevi trascinarlo e raddrizzarlo con forza sudando e imprecando. Ad un certo punto siamo usciti dal bosco, eravamo oltre i 2.200 metri, il freddo era veramente molto intenso , non c’era il sole, era una di quelle giornate plumbee con un’aria tagliente. Non ti potevi fermare altrimenti ti congelavi, tutti andavano avanti piano piano. Alla fine siamo giunti in cima per poi ridiscendere nell’altra vallata. Sulla cima c’era il comandante della caserma con altri ufficiali e con gli sci ai piedi. Mi ha visto senza racchette e mi ha subito ordinato di metterle. Prontamente ho tolto le racchette attaccate dietro lo zaino, ho cercato di metterle , ma impossibile. Le stringhe erano completamente ghiacciate e io, impacciato e con lo zaino pesante , cercavo di allacciarmi quelle maledette “ciaspole”: niente da fare. La risposta del comandante: “Sottotenente: punisca subito quell’artigliere”, la mia prima punizione. In quel frangente qualcuno scattò una foto che rividi poi in caserma. La foto mi ritraeva in primo piano con una smorfia di sofferenza sul viso, mentre osservavo la colonna degli artiglieri dietro di me che si perdeva nella distesa di neve. La foto non riesco più a trovarla ma ce l’ho chiaramente stampata in mente, la si può paragonare (con il dovuto rispetto, ovviamente) alle foto della Seconda Guerra Mondiale, che ritraggono i nostri reparti alpini in Russia nella ritirata sul Don. Questo fu il mio battesimo del freddo e della neve al campo invernale. Il campo invernale continuava su questa falsariga, mi ricordo che alle volte qualche mulo si imbizzarriva e scappava di corsa; una volta un mulo è fuggito e ha attraversato sobbalzando una pista da sci mettendo in subbuglio gli sciatori, ma nessuno si è fatto male. Rammento anche che alle volte non spegnevano i camion per evitare che si congelassero, oppure accendevano un fuoco sotto il motore per avviarlo. Poi c’erano le sveglie di primissima mattina alle 3.30 o giù di lì, anche prima per le salmerie. Si andava a far colazione, cioccolato bollente , un pane con marmellata e poi: “Zaini in spalla!”… che tempi ragazzi. Forse allora si imprecava, ma adesso ricordo quei periodi con molto orgoglio, il freddo e i disagi mi hanno forgiato e mi sono appassionato alla montagna. Al ritorno dal campo invernale ci hanno dato la medaglietta del “Tasi e tira” che tutti noi ancora certamente conserviamo gelosamente.
Un caro saluto a tutti gli artiglieri e sempre “Tasi e tira” – C.M. Paolo Micheli, 1/1981




 

 

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